Coffee? Yes, please!

Gabriel & Alison

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    La ricreazione era sempre un momento frenetico, tanto per i ragazzi quanto per gli insegnanti. I primi, finalmente, potevano alzarsi dai banchi, sgranchirsi le gambe ed accaparrarsi la tanto agognata merenda al distributore automatico o al bar interno alla scuola --oppure ne approfittavano semplicemente per copiare i compiti delle materie successive-- mentre gli insegnanti tiravano un sospiro di sollievo facendo scorta di caffeina prima della prossima lezione. Quella mattinata era stata, anche per me, piuttosto intensa: non era certo per i compiti in classe che avevo deciso di essere un insegnante, ma di tanto in tanto occorreva anche valutare la preparazione e lo studio dei ragazzi, non solo cercare di trasmettere loro conoscenze ed esperienze. Peccato che, puntualmente, gli studenti si preoccupassero più di copiare che di svolgere un test tutto sommato perfettamente fattibile. Ero infatti sicuro che avessero tutte le basi per riuscire a rispondere alla domande nel migliore dei modi, tuttavia ero stato costretto a mettere già di partenza ben sei insufficienze per il semplice fatto che avevano ripetutamente tentato di copiare: tra di loro, dal libro di testo, da bigliettini nascosti nei posti più impensabili. Avrei persino fatto finta di nulla, se solo l'atto non fosse stato così insistente ed incurante dei miei richiami.
    Sospirai, scuotendo leggermente la testa, mentre mi avviavo verso la sala professori con la cartella di pelle nera in mano: semplicemente --arrivai a concludere mentalmente-- ci voleva una gran pazienza con gli adolescenti.
    <<Buongiorno, Daniel!>> Mi salutò una collega, non appena varcai la soglia della stanza e ne approfittai immediatamente per posare la borsa sul tavolo circolare.
    <<Buongiorno, Emy.>> Le sorrisi, ricambiando la cortesia con cui la donna mi si era sempre rivolta, fin dal nostro primo incontro sul posto di lavoro.
    <<Vado a prendere un caffè. Te lo porto?>> Domandai, inclinando appena il capo.
    <<Oh sì, per favore! Sei un angelo!>> Ridacchiai sommessamente, trovando un ironia sottile quanto nascosta in quella che era solo una frase di circostanza, tipica di una donna solare come Emy.
    Mi sistemai i polsi della giacca nera, sportiva, che indossavo sopra ad una semplicissima camicia bianca e che faceva da pendant a dei pantaloni di tessuto nero, prima di uscire dalla sala professori: solo grazie a dei riflessi pronti e ad un sesto senso più sviluppato del normali, riuscii ad evitare di urtare in maniera brusca un'altra persona, che stava camminando lungo il corridoio --forse-- a passo particolarmente spedito.
    Portai una mano sui suoi fianchi, per tentare di fermarla prima che mi venisse addosso e si facesse male o addirittura cadesse.
    <<Oh, mi scusi.>> Asserii, prima di alzare lo sguardo verso il suo viso per capire chi fosse.

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    Non avevo parlato con nessuno di quello che era successo la sera che avevo deciso di farmi quattro passi in riva al mare per scrollarmi di dosso il nervosismo per l'ennesima litigata in casa. Non avevo detto a nessuno che avevo incontrato un professore che lavorava nella mia vecchia scuola e, soprattutto, non avevo detto a nessuno che mi aveva suggerito di provare a informarmi per quel posto da assistente allo studio.
    Perché?
    Beh...perché non c'era nessuno con cui volessi effettivamente parlarne. E, soprattutto, non volevo ritrovarmi a collezionare pareri discordanti che avrebbero reso la mia decisione ancora più difficile. Per me era già abbastanza complicato così. So che non avrebbe dovuto esserlo, ma non avevo mai negato di avere qualche problema a livello mentale. Anzi, ero la prima ad ammetterlo.
    In ogni caso, rientrare nella mia vecchia scuola mi fece un certo effetto.
    Perché sì, alla fine presi il coraggio a due mani (forse sarebbe meglio dire a trentacinque) e ci andai, a vedere quel famoso annuncio. Mi ero messa una camicetta bianca e azzurra, un paio di jeans blu e delle converse bianche ed ero uscita di casa senza dire niente a nessuno.
    Arrivata nel parcheggio della scuola avevo avuto un attimo di esitazione, ma alla fine ero entrata, con la borsetta appesa a una spalla e un passo un po' incerto.
    Non era cambiato molto. Anzi, a dire il vero era tutto perfettamente uguale. L'odore di disinfettante per i pavimenti, la porta d'ingresso che cigolava leggermente, i fogli colorati appesi in bacheca, il lungo corridoio su cui si affacciavano, da un lato, le porte delle aule e, dall'altro, una fila interminabile di armadietti.
    Rabbrividii mentre mi incamminavo verso la segreteria, calpestando quel pavimento lucido che avevo percorso in lungo e in largo tante volte da perderne il conto. Per mia fortuna tutti gli studenti erano barricati in classe alle prese con una lezione più o meno noiosa. Chissà quanti dei miei vecchi professori insegnavano ancora.
    Ahimè, però, avevo fatto male i conti e a meno della metà del corridoio fui sorpresa dal suono della campanella. A giudicare dall'ora riportata sul grande orologio digitale appeso in fondo al corridoio, era appena suonata la ricreazione, il momento più caotico della giornata.
    Nel giro di mezzo secondo le classi cominciarono a vomitare fuori una folla scomposta di studenti ringalluzziti dalla prospettiva di una mezz'ora d'aria lontano da quelle pareti. Ancora mi chiedo come sia possibile che nessuno mi abbia travolta.
    Appena la maggior parte dei ragazzi fu uscita accelerai il passo, cercando di raggiungere la fine del corridoio il prima possibile per porre fine a quell'avventura nel minor tempo possibile. Ero riuscita ad arrivare quasi in fondo al corridoio...prima che la porta di quella che ricordavo essere la sala insegnanti si spalancasse e io rischiassi di travolgere in pieno la persona che l'aveva aperta che, prontamente, mi acchiappò per i fianchi, impedendomi di investirla.
    Daniel, farfugliai, diventando immediatamente color pomodoro maturo. Con tutta la gente che potevo incrociare, avevo rischiato di mandare al tappeto proprio lui. Ehm, scu-scusa tu, al massimo, aggiunsi, imbarazzata, davanti alle sue scuse.
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    Certo non mi aspettavo, tra tutte le persone coinvolte nel tram tram della ricreazione, di ritrovarmi di fronte proprio Alison, la ragazza che avevo incontrato sulla spiaggia in una notte di alcuni giorni prima. Lasciai la presa sui suoi fianchi, non appena reputai non più in pericolo il suo equilibrio, rivolgendole un sorriso quando i nostri sguardi si incrociarono e anche lei mi riconobbe.
    <<Alison.>> La salutai, non potendo evitare di intuire dal rossore sulle gote che era imbarazzata per l'accaduto. <<Tranquilla, sono cose che succedono.>> Osservai, alzando leggermente le spalle come a volerle dire che non doveva preoccuparsi. Capitava continuamente, soprattutto durante la ricreazione, che la gente si scontrasse o facesse cadere degli oggetti: il disordine e il baccano erano elementi che chiunque lavorasse nel mondo della scuola aveva imparato a sopportare e a gestire.
    Stavo per chiederle che cosa ci facesse nuovamente da quelle parti, quando mi ricordai dell'informazione che le avevo dato circa il potenziale lavoro e dedussi che --probabilmente-- era venuta per sostenere il colloquio o per presentare la domanda di candidatura.
    <<Sei qui per il lavoro?>> Le chiesi, sperando che quel semplice quesito non la agitasse più di quanto non mi sembrasse già. <<Mi fa piacere sapere che alla fine hai scelto di provare.>> Asserii, con un sorriso. Sebbene non potessi dire di conoscere Alison, la nostra conversazione sulla spiaggia era stata sufficiente per convincermi che quella ragazza tendeva --troppo spesso e in troppi ambiti-- a sottovalutarsi e a sminuire il suo potenziale: pertanto, speravo davvero che ottenesse il lavoro, perché a mio avviso non solo poteva rivelarsi una valida collaboratrice, ma probabilmente avrebbe potuto sfruttare quell'occasione come trampolino di lancio per qualsiasi altro sogno avesse nel cassetto.

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    Incredibile come il solo fatto di trovarmi di nuovo tra quelle pareti mi avesse fatta tornare indietro nel tempo. Sembrava ieri che io e le mie compagne di classe ci trascinavamo controvoglia lungo il corridoio dirette alla lezione di biologia o quando indugiavamo nello spogliatoio perché non avevamo nessuna voglia di partecipare a educazione fisica. Eppure, purtroppo o per fortuna, erano già passati quasi sei anni. Quanto volava il tempo.
    Ad ogni modo, i ricordi non erano l'unica cosa a essere riaffiorata in me. Essere di nuovo tra quelle mura mi aveva fatto tornare indietro al tempo in cui i professori erano un po' delle bestie nere, di quelle che cerchi di evitare come la peste e alle quali ti rivolgi con tutti i fronzoli del caso nel timore di subire ritorsioni. Che poi, a conti fatti, avevo sempre avuto un bel rapporto con i miei insegnanti...anche se mi avevano sempre messa terribilmente in soggezione, tanto che avevo il terrore di incrociarne qualcuno per i corridoi, quel giorno. Per il momento avevo incontrato (o meglio, quasi travolto) solo Daniel, purtroppo per lui.
    S-scusa comunque, farfugliai di nuovo, sentendomi improvvisamente un'idiota per avergli dato del "tu". In fin dei conti era un insegnante...ed eravamo a scuola...era strano. O forse ero strana io...il che non era poi così improbabile.
    Ehm, sì...effettivamente sì, gli risposi, quando mi chiese se ero lì per il posto di lavoro di cui mi aveva parlato la sera che ci eravamo incrociati in spiaggia. Io...beh, ecco, ci ho pensato parecchio...alla fine ho agito d'impulso, in un certo senso, confessai, stringendomi leggermente nelle spalle.
    Fa...strano tornare qui, aggiunsi poi, accennando con un gesto della mano all'edificio scolastico nel quale, neanche a dirlo, non mettevo piede dal giorno del diploma.
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    Rivolsi ad Alison un ampio sorriso, nella speranza di tranquillizzarla almeno un poco. Non capivo, infatti, se fossi io a metterle in qualche modo soggezione o se fosse invece colpa di quel luogo: in ogni caso, non volevo che arrivasse turbata al colloquio di lavoro, perché ero davvero dell'opinione che --vinta la sua timidezza-- potesse essere un valido aiuto per i ragazzi che incontravano difficoltà nello studio.
    <<Hai fatto benissimo.>> Osservai, quando lei mi disse che era lì proprio per candidarsi come tutor scolastico e che aveva deciso di impulso. <<A volte le decisioni prese istintivamente sono migliori di quelle troppo ragionate.>> Asserii, alzando leggermente le spalle. Ovviamente, nel corso della mia lunga esistenza, non avevo fatto scelte importanti basandomi esclusivamente sulle sensazioni della pancia: al contrario, avevo sempre optato --ed optavo tutt'ora-- per calcolare in maniera oculata le possibilità e vagliare le conseguenza di ciascuna di essa. L'istinto, però, era un valido alleato quando era necessario buttarsi e vincere qualcuna delle proprie paure, quindi mi faceva piacere sentire che Alison lo aveva appena fatto.
    <<Mettono ancora un po' di soggezione, queste pareti?>> Le chiedi con una punta di ironia, dopo che la ragazza ebbe precisato che era strano trovarsi lì, a scuola. <<O è la figura del professore?>> Ipotizzai, inclinando appena il capo. <<Pensa che tra poco sarai probabilmente dall'altro lato della cattedra...>> Scherzai, alludendo ovviamente al fatto che --se avesse superato la selezione, come mi aspettavo-- si sarebbe trovata a svolgere, più o meno, proprio l'incarico del docente. Che motivo aveva, dunque, di sentirsi --sempre che la mia supposizione fosse corretta-- a disagio?
    <<Stavo andando a prendere un caffè prima della prossima lezione.>> Spiegai, facendo qualche passo in direzione del corridoio, senza dtuttavia istogliere lo sguardo da quello di Alison, con cui stavo parlando. <<Vuoi farmi compagnia?>> Le chiesi, con l'ombra di un sorriso. <<Oppure posso portartelo, se devi scappare subito al colloquio.>> Aggiunsi poi, valutando anche quell'eventualità, sebbene quella ragazza non mi sembrasse il tipo da arrivare ad un incontro di quel genere senza un congruo anticipo.

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    Se fossi stata ancora tra i banchi di quell'istituto, probabilmente sarei stata felice di avere un professore come Daniel. Era davvero un tipo paziente, senza parlare poi di quanto fosse gentile, disponibile e in grado di trasmettere un certo senso di tranquillità. Non che non fossi come tesa come una corda d'arco, ma i suoi modi incoraggianti mi facevano comunque sentire un pochino meno fuori luogo, il che, con una come me, era un grande, grandissimo traguardo. I suoi studenti erano davvero fortunati, anche se aveva comunque l'aria di essere un insegnante esigente, cosa che trovavo più che giusta per tutta una lunghissima serie di motivi che probabilmente è meglio non star qui ad elencare.
    A quel "hai fatto benissimo" piazzato lì, come se nulla fosse, mi sentii pizzicare la nuca dall'imbarazzo e da...non saprei, una specie di soddisfazione, quella sensazione di benessere che ci pervade quando riceviamo un complimento inaspettato. Per quanto, in realtà, non avessi fatto nulla di che era bello sentirsi spronare a quel modo. A chi non piaceva sentirsi dire che aveva fatto la scelta giusta? Certo, in quel caso era un po' presto per dire se avevo fatto bene o meno, ma era comunque una bella sensazione.
    Sì, beh, questo è da vedere, credo, mi schermii, stringendomi leggermente nelle spalle. Solitamente non sono una persona impulsiva, anzi...per cui chissà come andrà a finire questa storia, aggiunsi, borbottando quasi tra me e me.
    Dopo un breve silenzio, Daniel mi domandò se l'edificio mi metteva ancora un po' a disagio o se, invece, si trattava della presenza di un insegnante. In realtà si trattava un po' di entrambi. In un certo senso erano quelle stesse pareti a conferire ai professori, e quindi anche a Daniel, la loro autorità...era un po' come essere nella tana del lupo...anche se Daniel ce la metteva davvero tutta per farmi sentire a mio agio.
    Un po' tutti e due, risposi, ridacchiando nervosamente, sistemandomi la tracolla della borsa sulla spalla e sgranando leggermente gli occhi quando mi sentii dire che c'era la possibilità che mi ritrovassi dall'altra parte della cattedra, questa volta. L'idea mi fece venire le gambe molli e il respiro quasi affannoso. Non avevo pensato alla questione da quel punto di vista e devo dire che era una visione piuttosto angosciante. Non mi reputavo assolutamente in grado di tenere le redini di una classe, men che meno di farmi rispettare da un gruppo di ragazzini che avevano quasi la mia età. Improvvisamente, l'idea di presentarmi lì per il ruolo di tutor scolastico mi parve la peggiore idea del pianeta.
    Accidenti, farfugliai, probabilmente sbiancando. A questo...a questo non ci avevo pensato, ammisi, corrugando la fronte in un'espressione pensierosa. Pensavo...pensavo a qualcosa di più...di meno...insomma, di avere a che fare con uno o due studenti alla volta...una classe...intera...non...no, non saprei proprio come..., mi arrabattai alla ricerca delle parole giuste, scuotendo la testa davanti all'immagine che mi si stava formando nella testa.
    Uhm...ti...ti faccio compagnia v-volentieri, accettai, quando Daniel mi chiese di accompagnarlo a prendere un caffè prima dell'inizio della lezione successiva. Avevo deciso di darmela a gambe immediatamente dopo.
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    Alison era un po' l'eccezione che confermava la regola. Era infatti difficile, al giorno d'oggi, trovare in giro una ragazza così timida, sincera e spontanea: in un mondo in cui, fondamentalmente, tutti cercavano di vendere qualcuno che non erano, la mia interlocutrice rappresentava ai miei occhi un'interessante e curiosa novità.
    <<Potresti rimanerne positivamente sorpresa.>> Ribattei, con l'accenno di un sorrisetto vagamente divertito, quando Alison osservò che non sapeva come quella storia sarebbe andata a finire, dal momento che non ci aveva troppo riflettuto sopra. <<O forse no, ma in ogni caso non ti sarai pregiudicata un'opportunità.>> Aggiunsi, alzando leggermente le spalle. Non volevo fare la parte del professore o del saggio, non con qualcuno che non fosse un mio studente, tuttavia --evidentemente-- quel ruolo faceva ormai parte di me: dopotutto, non era altro che un piccolo barlume della mia precedente esistenza angelica.
    Peccato che --me ne resi conto qualche istante dopo-- avessi rovinato il mio tentativo di incoraggiamento con una frase di cui non avevo appieno valutato le possibili conseguenze. Mi accorsi infatti di aver sortito in Alison l'effetto opposto rispetto a quello sperato quasi subito, un po' perché il mio lavoro mi costringeva a prestare attenzione ai segnali non verbali delle persone che avevo di fronte e un po' perché quella ragazza non aveva certo una faccia da poker: di fronte alla reazione di Alison, tuttavia, restai composto, scegliendo volutamente di non sdrammatizzare. Nel corso della mia lunga esistenza avevo infatti notato come sminuire qualcosa che all'altro procurava preoccupazione non serviva certo ad abbassare i livelli di ansia. Era piuttosto la prevedibilità, a farlo, e quella era ciò che avrei cercato di dare ad Alison in quel momento.
    <<So per certo che bisogna attendere le pagelle intermedie, prima di formare i gruppi per il tutoraggio pomeridiano.>> Spiegai, facendole poi un cenno con il capo in direzione della porta che dava accesso alle scale per invitarla ad incamminarci in direzione del bar, che si trovava --come immaginavo anche lei ricordasse-- due piani sotto. <<Potresti avere a che fare con due studenti alla volta come con un gruppo più numeroso, ma sicuramente avrai tutte le informazioni su ciascun ragazzo in anticipo, in modo che tu possa prepararti di conseguenza.>> Continuai poi, voltandomi a guardarla. Il conoscere prima le situazioni che ci si sarebbe trovati di fronte solitamente aiutava a stare più tranquilli, o almeno così capitava con la maggior parte delle persone. <<Non si tratterà comunque di una classe intera. Non sono così spietato da dare un debito formativo a tutta la sezione, sai?>> Scherzai, accennando una leggera risata.

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    Come avevo fatto a prendere così alla leggera quella faccenda? Che poi, a dire il vero, mi ero lambiccata non poco il cervello sull'eventualità di presentarmi sul serio o meno...anche se, a quanto pareva, ero comunque riuscita a tralasciare un aspetto importante come quello. E chissà quanti altri ne avevo ignorati! Mi veniva voglia di rannicchiarmi in un angolo a piangere come una fontana.
    Ormai sono qui... Commentai, con un sospiro rassegnato, quando Daniel mi fece notare che, sia che andasse in un modo, sia che andasse in un altro, avevo comunque fatto un tentativo. Cominciai a sperare che andasse male...anche se, in quel caso, probabilmente mi sarei sentita ancora più inetta. E già normalmente la mia autostima raggiungeva livelli talmente bassi da far concorrenza alla fossa delle Marianne.
    Non saprei dire se Daniel si accorse del mio scoraggiamento o meno. Se aveva notato quanto spaventata e demoralizzata ero, era stato così bravo da nasconderlo e da tentare, in modo meno evidente e sfacciato, di risollevarmi il morale, cercando di appellarsi a quel poco buonsenso che mi era (forse) rimasto.
    Prima di indicarmi con un leggero cenno del capo la direzione da prendere per raggiungere il bar interno all'edificio, sistemato due piani più in basso, Daniel mi informò che prima di organizzare i gruppi di studio bisognava aspettare che venissero pubblicate le pagelle di metà anno e che, comunque, era improbabile, se non impossibile, che mi ritrovassi a gestire una classe intera. Di sicuro, non aveva nessuna intenzione di rimandare tutti i suoi studenti...e anche quelli che avrebbero dovuto frequentare i corsi di tutoraggio li avrei conosciuti prima sulla carta, ricevendo tutte le informazioni d cui avrei avuto bisogno sul loro conto. L'idea, lo ammetto, era rassicurante...ma non cancellava il fatto che mi sarei ritrovata ad avere a che fare con gente che aveva pressapoco la mia stessa età. Come avrei fatto a farmi rispettare da quella mandria di adolescenti? Già facevo fatica con mia sorella, figuriamoci con degli estranei!
    Beh, la mia vecchia insegnante di matematica sarebbe perfettamente in grado di rimandare tutta la classe, bofonchiai, a mezza voce, temendo che potesse essere ancora nei paraggi. Aveva una certa età ancora quando insegnava a me, poteva benissimo essere già andata in pensione...ma qualcosa mi diceva che si aggirava ancora per quelle classi con quel suo cipiglio odioso.
    Mentre scendevamo le scale che portavano al piano che ospitava il punto ristoro, ripensai a tutte le ore trascorse tra quelle pareti, ridendo e scherzando con le mie amiche, rimpiangendo quei tempi relativamente lontani quando le preoccupazioni più grandi erano i ragazzi che non ricambiavano i nostri sentimenti o i compiti in classe. Al tempo mi sembravano problemi insormontabili...quanto si è sciocchi a quell'età...!
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